Tra le eccellenze della montagna ci sono anche i mirtilli. Se per molti, in città, si tratta di un “fruttino” da gustare sopra un pasticcino alla crema, per un intero comparto economico si tratta di un importante elemento di sostentamento e fonte di reddito. Attorno al mirtillo, infatti, esiste una vera filiera economica che conta, nel solo comparto della montagna pistoiese, una quindicina di azienda agricole. Una filiera che parte dalla raccolta del prodotto (che nei periodi di punta impegna circa 200 persone nella sola area di Abetone Cutigliano – San Marcello Piteglio) e arriva al prodotto finito: mirtilli puri venduti in vaschetta, ma anche marmellate, liquori, succhi di frutta e altre specialità alimentari vendute in tutta Italia.
La montagna pistoiese, infatti, è una delle aree più ricche e rinomate d'Europa per la produzione e la qualità del mirtillo nero selvatico in particolare. La zona è anche ricca di frutti del sottobosco come lamponi, more, fragole, ribes, castagne e, ovviamente, funghi. Tutto questo 'Bendiddio' che a tutti piace gustare a tavola è parte integrante dell'economia di un territorio. Le cose, però, non stanno andando al meglio in questi ultimi tempi. I frutti, e la filiera economica ad essi collegati, sono a rischio. Su tutti, ci sono due problemi principali: la presenza di infestanti (come la temuta e dannosissima drosophila) e gli alti costi per la cura del sottobosco, non sempre supportati da politiche economiche che agevolano queste attività.
A farsi sentire in questi giorni è stata l'Associazione Mirtilli Montagna Pistoiese, una tra le più attive del territorio.
«Nel corso degli anni – racconta Marco Poli, vicepresidente dell'associazione – abbiamo ottenuto risultati notevoli, tra cui il monitoraggio con prelievi di frutto, per il lancio dell’antagonista alla drosophila e il costante controllo delle mirtillaie, per eventuali nuovi infestanti sia erbacei e non solo. C'è molto altro da fare, però: la cura del nostro bosco è fondamentale per avere buoni frutti, ma i costi sono complessi e a livello politico dovrebbe essere fatto di più».
Non tanto dai comuni, che hanno risorse assai risicate e in buona parte bloccati per il Patto di Stabilità, quanto piuttosto a livello regionale o nazionale. A livello nazionale sarebbe pronto il “Programma straordinario di manutenzione del territorio forestale e montano” indicato come una delle priorità dal decreto semplificazioni (D.L.76/2020 art.63), che potrebbe essere attivato utilizzando i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per avviare un grande “cantiere verde” per la gestione sicura del territorio e del paesaggio naturale. Sarebbe un modo per creare davvero quell’economia circolare, di cui tanto si parla, e dare un bel motore di sviluppo per le aree interne. Occorre, però, pressione politica e attenzione verso il territorio montano.
«Si assistono altrimenti a delle situazioni paradossali – sottolinea Poli –: basti pensare che tenere pulito il bosco diventa estremamente anti-economico se si considerano i terreni in pendenza lontano dalle strade, che sono la stragrande maggioranza. Ad esempio, se mi ritrovo un terreno in pendenza da curare, magari non vicino a vie di accesso, trovo molto più conveniente acquistare legna da ardere pronta dall'estero rispetto a tagliare e curare quella parte di bosco. É un paradosso, ma economicamente è così. Ed un bosco non curato è un bosco che non darà mai frutti di alcun genere. Noi questo non possiamo permettercelo».
E, dunque, quali sarebbero i primi passi verso un recupero del sottobosco?
«Personalmente ritengo che gli incentivi alla sola cura del sottobosco non siano sufficienti – sottolinea Poli –. Per le aziende delle aree rurali montane occorrerebbe una tassazione diversa rispetto alle altre, cosa che peraltro sarebbe prevista dalla parte finale dell'articolo 44 della Costituzione (che cita testualmente 'La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane', n.d.A.), non solo per quanto riguarda il sottobosco. Inoltre, occorrerebbe che Stato e Regione incentivino la rinascita di quelle attività rurali che aiutano il bosco, come ad esempio la pastorizia per le mirtillaie giusto per citarne una. Non è solo una questione economica, ma anche di sicurezza del territorio – conclude Poli –: laddove il bosco non è curato, prima o poi assisteremo a movimenti franosi che vanno a valle. La cura del territorio montano dovrebbe coinvolgere tutti, non solo chi abita o lavora qui».