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Il cambiamento climatico e l'inquinamento stanno avendo un impatto crescente sulle nostre vite, e questo ben lo sappiamo. Una delle conseguenze dirette di questa dinamica, però, è meno nota rispetto ad altre: parliamo infatti della riduzione della fertilità. Non che sia una novità assoluta: questo legame tra inquinamento e fertilità è noto alla scienza da tempo ma è stato recentemente aggiornato con i risultati di uno studio presentato ad Amsterdam, durante il 40° congresso annuale dell’Eshre, la società europea di riproduzione umana ed embriologia.


La ricerca, pubblicata sulla rivista "Human Reproduction", rivela che l'esposizione al particolato fine può ridurre significativamente le probabilità di successo della fecondazione in vitro, con una diminuzione del tasso di nascite del 40% nei casi più estremi. La statistica è particolarmente interessante, considerando i livelli di particolato che si raggiungono ogni anno in molte città italiane ed europee, non solo metropoli. Lo studio, condotto da ricercatori australiani, ha monitorato per otto anni 1.836 pazienti sottoposti a 3.659 trasferimenti di embrioni congelati. 

L'esperimento scientifico
Le donne coinvolte avevano un’età media di 34 anni al momento del prelievo degli ovociti e di 36 anni al momento dell’impianto degli embrioni. Gli scienziati hanno esaminato in particolare l’esposizione al Pm10 nelle due settimane precedenti la raccolta degli ovociti e al Pm2,5 nei tre mesi precedenti. Ebbene, suddividendo le pazienti in base ai livelli di esposizione, è emerso un chiaro andamento negativo: più alta è l'esposizione al particolato fine, minori sono le probabilità di successo della gravidanza. Proprio le pazienti più esposte al Pm10 hanno mostrato una riduzione delle probabilità di portare a termine la gravidanza fino al 40%. 


«L’effetto negativo è stato evidente, evidenziando la vulnerabilità della salute riproduttiva anche in contesti con livelli di inquinamento relativamente bassi», ha commentato Sebastian Leathersich, autore principale dello studio e specialista in fertilità al King Edward Memorial Hospital di Subiaco, in Australia. 

Il caso Italia
Gli effetti dell'inquinamento sulla salute pubblica sono molteplici e tutti preoccupanti, anche in Italia. L'inquinamento, d'altronde, è lo stesso in ogni parte del mondo: cambia solo la sua concentrazione. «Per troppo tempo – sottolinea Daniela Galliano, specialista in Ostetricia, Ginecologia e Medicina della Riproduzione, responsabile del centro PMA di Ivi a Roma in una recente dichiarazione apparsa sul Quotidiano Nazionale – gli effetti dell’inquinamento e dei fattori ambientali sull’infertilità sono stati sottovalutati. Alla luce delle nuove ricerche, incluso lo studio presentato ad Eshre, e considerando che, secondo l'ultimo rapporto di Legambiente, nel 2023, 18 città su 98 in Italia hanno superato i limiti giornalieri di Pm10, è necessario agire tempestivamente».


Tra i fattori ambientali più coinvolti nel calo di fertilità vi sono gli interferenti endocrini, sostanze che possono alterare il sistema endocrino e causare effetti negativi sulla salute e sulla prole. L'aria che respiriamo ha il suo peso, è vero, ma ci sono anche i composti chimici dannosi che possono essere rilasciati nell’ambiente attraverso l'inquinamento atmosferico, le acque o i suoli. «Non solo: l’alimentazione è uno dei principali veicoli di esposizione agli interferenti endocrini: secondo stime recenti, in assenza di interventi per ridurre il rischio, l'esposizione a questi composti contribuisce almeno al 20% dei casi di malattie riproduttive, come l'endometriosi, l'infertilità maschile e il criptorchidismo» ha concluso Galliano. 

Lo studio prosegue
Il prossimo passo, a livello scientifico globale, sarà comprendere meglio i meccanismi biologici attraverso i quali il particolato fine e l’inquinamento ambientale influiscono sulla fertilità. Intanto, però, noi segnaliamo questo ennesimo punto a favore nel prendere le distanze, letteralmente, dalla città, dal suo caos e dalle sue conseguenze. 

 

 

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