Per gli abitanti della Montagna Pistoiese, i Castagni sono (e son stati) talmente importanti da essere altresì chiamati “alberi del pane”. Il rimando alimentare non è casuale ed il motivo affonda le proprie radici nella condizione di povertà del comprensorio in questione, i cui rigidi inverni compromettevano notevolmente la possibilità di approvvigionarsi scorte di cibo. Tra gelate e ampie nevicate, la comunità montana era spesso forzatamente isolata, con i raccolti nella tipica penuria della stagione fredda: in un clima simile, il Castagno si è rivelato l’unico albero da frutto il quale non solo è degnamente sopravvissuto, ma si è anche esteso in maniera strabiliante in una fascia compresa tra i 200 ed i 1000 m slm, tra l’Appennino e i rilievi del Montalbano, comprendendo una porzione davvero consistente del nostro territorio.
Più che un semplice fusto, il Castagno è per la Montagna Pistoiese un fedele alleato e un necessario compagno di vita: una salvezza almeno fino agli anni antecedenti la prima metà del XX secolo, quando le mani esperte dei castanicoltori contribuivano alla sussistenza di una comunità intera. Denominata anche “oro marrone”, fin da tempi remoti la farina di castagne si rivelò preziosa non solo per la varietà di ricette possibili ma anche per il suo alto contenuto di proteine, fibre e vitamine unito alla lunga possibilità di conservazione. La farina dolce di castagne pistoiese si caratterizza per il suo colore bianco-avorio, il sapore dolce con leggero retrogusto amarognolo e l’intenso profumo del frutto di cui porta il nome.
Una polvere magica, questa, che dà vita a svariate leccornie tra le quali, senza dubbio, spiccano come maggiormente conosciuti i tipici necci (di cui è celebre la sagra di Pracchia) nati dall’unione con acqua e sale e preparati abilmente manovrando i così chiamati “testi” (dischi rotondi in pietra dal lungo manico dove il prodotto viene velocemente portato a cottura).E poi ancora il castagnaccio, la pasta fresca (da gnocchi a tagliatelle), pane, ciambelle e la classica pattona, piccolo pane sottile tipico della Lunigiana. Non solo: la farina di castagne è anche un ottimo addensante, da aggiungere alle zuppe per ottenere un piatto gustoso ed omogeneo!
“Ah, il seccatoio!”, direbbero i veterani della montagna. Sì perché, per ottenere la farina, si lasciavano le castagne ad essiccare nel casottino chiamato metato (o seccatoio, appunto) fino a 30 o 40 giorni, per poi toglier loro la buccia e portarle al molino. Un rituale lento e preciso, questo, che ha dato vita ad una vera e propria cultura i cui antichi procedimenti sono per fortuna ancora oggi custoditi dal prezioso lavoro di associazioni come i “Castanicoltori della Montagna Pistoiese”.
La castagna ha unito e sfamato generazioni intere, con uno sforzo che ancora oggi ripaga dalle fatiche e vede la filiera ricoprire di nuovo un ruolo d’importanza, con recupero di strutture come il Molino di Vasco (Pian degli Ontani) dove previa prenotazione sono organizzate visite guidate.
In qualsiasi forma la si mangi, la castagna è sempre un balzo nei vecchi tempi. Ed anche se l’attuale produzione utilizza macchinari elettrici di ultima generazione, c’è un dettaglio che nella tradizione castanicoltrice pistoiese non è destinato a cambiare col tempo: il gusto, ancora oggi estremamente delizioso.